Uno dei temi naturalistici che più di tutti sta facendo discutere negli ultimi anni è quello della conservazione in cattività: giardini zoologici e acquari sono ancora necessari per la salvaguardia della biodiversità? Oppure sono soltanto luoghi espositivi in cui la dignità dell’animale non è rispettata?
Fin dalla loro nascita ormai più che secolare questi luoghi sono stati mete di visitatori attratti perlopiù dalla possibilità di osservare in prima persona creature ritenute fino a quel momento fantastiche e assurde, non tenendo conto delle effettive necessità che un organismo tolto dal proprio contesto naturale richiede, andando quindi spesso a generare problemi cognitivi come comportamenti stereotipati, autolesionismo, o situazioni generali di maltrattamento e sfruttamento.
Negli ultimi decenni però sono stati fatti enormi passi da gigante nell’ambito della conservazione, frutto di una crescente e sempre più incalzante volontà di proteggere e tramandare l’ambiente e la biodiversità, cercando allo stesso tempo di svecchiare e cambiare la visione tradizionale e surclassata che ancora molte persone hanno di queste realtà.
Ecco che negli anni sono nate svariate organizzazioni e collettivi, sia nazionali (UIZA) che internazionali (EAZA, WAZA), che si occupano della gestione dei centri di conservazione in cattività, per permettere il mantenimento di specifici parametri legati a conservazione, ricerca e educazione.
Arricchimenti ambientali, centri di recupero, scambi tra enti e centri educativi sono alla base delle realtà contemporanee, che rinascono come luoghi in cui trasmettere l’educazione e il rispetto per la natura che ci circonda.
Alessio Baglioni