Visitando il Museo di Geologia e Paleontologia di Bologna, ci si può imbattere in un bizzarro cranio esposto in una vetrina posta in un angolo della “Sala del formichiere”. Una targhetta riporta il nome di questo animale: . L’esemplare in questione fu ritrovato alla fine del XIX secolo vicino a Pianoro, sui colli bolognesi. L’eminente paleontologo Giovanni Capellini lo descrisse nel 1872, assegnandolo ad una nuova specie di sireno (un mammifero marino vegetariano), , per l’appunto. Quest’ultimo è ora considerato un sinonimo di , l’ultimo sireno nativo del Mar Mediterraneo, vissuto durante il Pliocene (intorno a 3 milioni di anni fa) e particolarmente imparentato con gli attuali dugonghi. La peculiare conformazione del muso del è soprattutto legata alla presenza di grossi incisivi, che costituivano delle vere e proprie zanne. Questa dentizione avrebbe permesso al sireno di nutrirsi di diverse piante acquatiche e, soprattutto, di rimuovere i grossi rizomi di . Quando questi mammiferi pascolavano nelle sue acque costiere, il Mediterraneo era un mare più caldo dell’attuale. La scomparsa di . infatti coincide con un’accelerazione nella diminuzione delle temperature marine a metà del Pliocene, a cui questa specie non sarebbe stata in grado di adattarsi. Sembra che durante il Pliocene le praterie marine del Mediterraneo ospitassero una flora molto più biodiversificata dell’attuale ed è possibile che la scomparsa di sia stato uno dei fattori principali che ha portato alla proliferazione di a scapito delle altre specie vegetali, poiché nessun animale marino odierno è in grado di estirparla efficientemente, tenendone le popolazioni sotto controllo.
Riccardo Rocchi