23 Settembre 1832: Charles Darwin si trovava a Punta Alta, a Sud di Buenos Aires, alla ricerca di fossili. La presenza di grandi ossa nella zona era già nota da tempo: alcune erano state descritte qualche decennio prima dal celebre anatomista Cuvier, anche se molti locali insistevano ad attribuire ad “un’antica razza di uomini giganti”. Darwin quel giorno scoprì alcuni frammenti che attribuì ad un “enorme roditore” a cui si aggiunsero fossili più completi scoperti nei giorni seguenti. I reperti furono inviati in Inghilterra, dove furono classificati da Richard Owen come un nuovo genere, (slide 2). Oggi è considerato parte di un gruppo di ungulati estinti, endemici del Sud America.
Le ricerche paleontologiche di Darwin in Argentina lo portarono a scoprire poi i resti di molti altri bizzarri mammiferi fossili, fra cui forme giganti di bradipi (slide 3) ed armadilli (slide 4), molti dei quali descritti sempre da Owen. L’osservazione di questi fossili, con affinità ad animali moderni, ma allo stesso tempo chiaramente diversi, fu fondamentale per far sviluppare in Darwin l’idea che le specie avessero una durata limitata e quindi il concetto di estinzione, fondamentale per la sua teoria evoluzionistica.
Paradossalmente, Owen divenne poi uno dei principali oppositori delle idee di Darwin.
Poco dopo la pubblicazione de L’Origine delle Specie, fu la volta del paleontologo Giovanni Capellini di avere a che fare con i peculiari mammiferi argentini. Florentino Ameghino, naturalista italo-argentino, non solo dedicò a Capellini una specie di bradipo gigante, (oggi , slide 5), ma si premurò anche di spedire al grande paleontologo uno scheletro quasi completo del suddetto, oltre che un enorme scudo dell’armadillo (slide 6). Capellini accolse i regali ben volentieri nella sua collezione di Bologna: era infatti da tempo un aperto sostenitore delle teorie darwiniane e l’esposizione dei nuovi fossili era un chiaro segnale delle posizioni dello studioso italiano sull’evoluzione. Gli esemplari sono tutt’oggi visibili alla Collezione di Geologia “Museo Giovanni Capellini”.
Riccardo Rocchi