Naturalistici

La Collezione di Geologia “Museo Giovanni Capellini” nasconde al suo interno moltissime storie. Una di queste riguarda un fossile, proveniente da Monte Aperto (Siena) ed esposto nella sala dei mammiferi, apparente ad una balena e sulla quale sono ben visibili una serie di incisioni.

Le tracce osservabili su questo ed altri fossili di cetaceo, ritrovati in diversi giacimenti pliocenici d’Italia e soprattutto della Toscana, attirarono anche l’attenzione dell’eminente Giovanni Capellini, professore all’Università di Bologna, che nel 1875 le interpretò come testimonianze dell’utilizzo di strumenti di pietra da parte di antichi “uomini del Pliocene”. Capellini addirittura riportò di aver trovato delle lame di selce in prossimità di uno dei fossili studiati e che, utilizzandoli su ossa di balena fresche, sarebbe stato in grado di produrre tagli molto simili a quelli osservati.

Le idee di Capellini su queste tracce avrebbero dell’incredibile, in quanto tutt’oggi le più antiche testimonianze certe di presenza umana nella penisola italiana risalgono solo al Pleistocene medio. Anche a fine ‘800, l’ipotesi de “l’uomo del Pliocene” fu oggetto di diversi dibattiti tra chi sostenne le idee del professore e chi invece si dimostrò più scettico.

Attualmente, grazie alla microscopia, diversi studiosi sono stati in grado di determinare che incisioni simili a quelle studiate da Capellini sono da attribuire con buona certezza a morsi di squalo. Infatti, si possono ora osservare all’interno delle tracce particolari striature, chiaramente riconducibili alla seghettatura degli affilati denti di questi ultimi predatori marini.

Queste vicende ci raccontano di come anche grandi studiosi abbiano commesso errori durante la loro carriera, ma che nonostante ciò l’impresa scientifica, grazie a nuove conoscenze e tecnologie, è in continuo divenire e ci permetterà di comprendere sempre meglio il mondo che ci circonda e, in questo caso, il passato del nostro Paese.

Riccardo Rocchi