Durante il Mesozoico, l’area da cui si sono formati i depositi che attualmente affiorano ai piedi dell’Appennino emiliano-romagnolo era totalmente sommersa dall’oceano della Tetide. Da questa regione, infatti, non provengono fossili di dinosauri, in quanto questi erano animali terrestri. Abbiamo comunque traccia di altri straordinari animali che popolavano queste acque, in particolare nel Cretacico Superiore, dove all’apice della catena alimentare c’erano i mosasauri, un variegato gruppo di rettili marini, imparentato con le attuali lucertole e serpenti.
Due rostri di mosasauri sono stati ritrovati anche in Emilia-Romagna, in particolare dalle Argille Scagliose, un complesso di depositi pelagici. Possiamo dire che sia gli emiliani che i romagnoli sono stati accontentati, infatti entrambe le metà della regione hanno il “loro” mosasauro.
Uno dei due reperti infatti proviene dalla località di San Valentino, a pochi chilometri da Reggio Emilia. Il fossile fu descritto già nel 1897, ma fu attribuito a un coccodrillo, nominandolo come e soltanto studi più recenti lo hanno correttamente identificato come un mosasauride.
L’altro esemplare è invece stato ritrovato nel 2010 sulle colline romagnole e nella cava di Monte Ceti, nella Valmarecchia riminese, per la precisione. È stato identificato come appartenente al genere , con tratti peculiari che suggeriscono sia una nuova specie: i resti, però, sono troppo incompleti per ulteriori considerazioni. Nonostante questo, le notevoli dimensioni del frammento hanno portato a stimare per questo rettile marino una lunghezza di 11 metri, incoronandolo senza dubbio del titolo di più grande vertebrato fossile conosciuto in Italia.
L’originale del mosasauro romagnolo e un calco in gesso dell’esemplare emiliano sono esposti, uno di fianco all’altro, in una vetrina della sala del diplodoco del Museo Capellini di Bologna (slide 1). Immaginarsi quando questi grandi predatori, più di 70 milioni di anni fa, nuotavano nella Tetide è sicuramente una delle esperienze più suggestive che si possono avere visitando il museo.
Riccardo Rocchi